In questi giorni di festa a Roma si possono mettere in atto i buoni propositi culturali e visitare quei musei e quelle collezioni d’arte che “ volevamo sempre visitare e non abbiamo mai avuto il tempo di vedere…”
Il mio consiglio? Fate un salto al MACRO in via Nizza, angolo via Cagliari. Con l’autobus potete scendere a piazza Fiume e percorrere circa 300 metri a piedi in via Nizza. L’edificio che ospita il museo era originalmente un vecchio stabilimento della birreria Peroni, costruito all’inizio del XX secolo, riconvertito in Museo d’Arte Contemporanea e aperto al pubblico nel 1999. La novità è il suo ampliamento con una nuova ala che si integra nel complesso preesistente, opera dell’architetto francese Odile Docq.
Con la realizzazione del progetto il museo ha visto aumentate le sue aree espositive, arricchendosi di sale conferenze, libreria, parcheggio, un ristorante e un caffè.
Con la realizzazione del progetto il museo ha visto aumentate le sue aree espositive, arricchendosi di sale conferenze, libreria, parcheggio, un ristorante e un caffè.
La nuova sezione presenta all’interno un’ architettura quasi hyperspaziale , mentre dall’esterno non mostra un’eccessiva eccentricità, adattandosi così senza far gridare allo scandalo con l’urbanistica del quartiere, che definirei borghese benestante. Il museo è stato riaperto al pubblico domenica 5 dicembre, ma era possibile partecipare previa prenotazione a una visita in anteprima sabato 4. Così non mi sono lasciata sfuggire l’occasione e come tanti altri culture volture ho trascorso un paio d’ore al MACRO.
Non ho alcuna velleità di stendere una relazione da esperta d’arte quale non sono né sul museo come architettura, né sulle sue collezioni. Voglio semplicemente dare un resoconto delle mie impressioni e invogliarvi a visitarlo, facendovi un’idea personale a seconda delle vostre conoscenze e preferenze in campo di modern art.
Non so spiegare esattamente perché, ma appena varcato il grande ingresso ho avuto l’impressione di trovarmi in una futuristica cattedrale o in una nave spaziale tipo Star Trek.Tanto grigio, metallo e acciaio, ravvivato da un rigoroso rosso lacca per alcune strutture che fungevano da contenitori e separatori, creando ulteriori ambienti di esposizione.
Tra le varie opere esposte una scultura-abito che sembrava ospitare un essere vivente sotto il pesante costume di vaga ispirazione melanesiana, che ricordava le statue viventi che vivacizzano le zone storiche e pedonali di ogni grande città. Tutti i visitatori andavano in esplorazione aprendo porte, salendo scale, scendendo pedane, come in avanscoperta di un castello o di un labirinto futuristico. Tante opere in esposizione, ma l’opera più ammirata era la struttura in sé stessa.
Tra le varie opere esposte una scultura-abito che sembrava ospitare un essere vivente sotto il pesante costume di vaga ispirazione melanesiana, che ricordava le statue viventi che vivacizzano le zone storiche e pedonali di ogni grande città. Tutti i visitatori andavano in esplorazione aprendo porte, salendo scale, scendendo pedane, come in avanscoperta di un castello o di un labirinto futuristico. Tante opere in esposizione, ma l’opera più ammirata era la struttura in sé stessa.
In concomitanza con la nuova riapertura la parte del leone la faceva l’opera vincitrice del ENEL Contemporanea Award 2010: “Are you really sure that a floor can’t be a ceiling?” del team olandese Bik Van der Pol
(Lisbeth Bik e Jos Van der Pol).
L'installazione è in mostra fino al 16 gennaio 2011.
Questa è l’unico tipo di fila che il pubblico romano accetta e rispetta. Anche perché ci si intrattiene nell’ attesa con temi sociali, politici o anche più frivoli, come amici non presenti, viaggi o crisi sentimentali.
L’installazione, liberamente ispirata alla Farnworth House di Mis Van der Rohe, rappresenta una casa-serra popolata da centinaia di farfalle, a simbolizzare il fragile equilibrio uomo-natura. Questa installazione era quella che naturalmente ha suscitato più interesse fra il pubblico e la fila quel giorno era piuttosto sostenuta.
Questa è l’unico tipo di fila che il pubblico romano accetta e rispetta. Anche perché ci si intrattiene nell’ attesa con temi sociali, politici o anche più frivoli, come amici non presenti, viaggi o crisi sentimentali.
L’installazione, liberamente ispirata alla Farnworth House di Mis Van der Rohe, rappresenta una casa-serra popolata da centinaia di farfalle, a simbolizzare il fragile equilibrio uomo-natura. Questa installazione era quella che naturalmente ha suscitato più interesse fra il pubblico e la fila quel giorno era piuttosto sostenuta.
Girando per le sale, goffa, distratta e mezza cieca quale sono, ho urtato inavvertitamente quello che sembrava essere un bicchiere di cartone XXL tipo bibita gassata, riempito di una massa solida e posto al centro di una sala insieme ad altri improbabili oggetti di cui era possibile domandarsi, per chi è ignorante d’arte moderna come me, se era stato dimenticato lì o era invece un oggetto concettuale. La constatazione che era ripieno di una massa solida mi ha lasciato dedurre che la sua funzione fosse artistica. Istintivamente ho rialzato il bicchiere e lo ho attentamente rimesso al centro della sala sotto l’occhio vigile di una attendente del museo. Il fatto che non mi abbia ammonito che non si toccano le opere esposte, ma allo stesso tempo non mi abbia ingiunto di togliere il bicchiere di cartone, non mi ho chiarito ulteriormente la funzione dello stesso.
E per completare la pessima opinione che mi sto costruendo da sola nel campo della naiveté artistica posso concludere dicendo che sono rimasta affascinata dalle toilette del museo. Grigie, severe e essenziali, avevano come lavandini delle strutture-paesaggio con degli avallamenti a forma di piccole vasche, che lasciavano supporre la loro funzione di raccolta d’acqua per sciacquarsi le mani. Ho maneggiato per cinque buoni minuti, giocando sempre più irritata nel tentativo di evidenziare i sensori giusti per la fuoriuscita di liquido. Quando anche la sopravvenuta fruitrice dei servizi si è aggiunta a me nella vana ricerca, mi sono sentita meno stupida ma in ogni caso sempre più frustrata, finché infine (non so quale raggio infrarosso abbia finalmente colpito), un gentile getto d’acqua è fuoriuscito come per magia e tutto la struttura parallelepipeda si è illuminata di una calda luce rossa per il tempo di fuoriuscita dell’acqua. Evviva. Un perfetto esempio d’ interazione fra opera d’arte e il pubblico suo fruitore. La giornata, e l’autostima, erano salvi!
P.S. Purtroppo non sono riuscita a fotografare in tempo la trasformazione da bianca in rossa della luce dell’isola-lavandino. Pronta per scattare, ancora una volta non sono riuscita a trovare il sensore giusto…
Museo d'arte Contemporanea MACRO
Aperto dal martedì alla domenica 11.00-22.00
Museo d'arte Contemporanea MACRO
Aperto dal martedì alla domenica 11.00-22.00
Che forte che sei Serena! Almeno mi consolo che non sono l`unica stordita nei bagni pubblici ;-)
RispondiEliminaMega-complimenti per il tuo blog! Lo trovo sempre molto interessante e mi viene voglia di andare a Roma e fare un giro per i quartieri con te: ormai grande esperta di posti insoliti romani.
Lorr